Quando poi Warsame è stato informato dei suoi diritti, ha scelto di continuare a parlare. Le sedute sono continuate sulla nave, per non interrompere il flusso delle rivelazioni. Quando poi gli uomini dell’intellgence hanno finito il loro lavoro, hanno passato la pratica ai procuratori. L’amministrazione ha deciso che la maniera migliore per giudicarlo era trasferirlo negli Stati Uniti, invece di portarlo a Guantanamo che Obama aveva promesso di chiudere, e così il terrorista somalo è arrivato a New York per essere processato,
Gli attivisti dei diritti umani, come l’avvocato John Sifton, hanno accusato il presidente di usare metodi simili alle carceri segrete di Bush. Invece il leader della minoranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, ha rimproverato ad Obama una «rigidità ideologica che mette a rischio la sicurezza nazionale», perché ha portato negli Usa un combattente nemico che non meritava gli stessi diritti dei cittadini americani e andava giudicato dalle corti militari a Guantanamo. I difensori dell’amministrazione, come il senatore democratico Dick Durbin, hanno risposto che Obama sta usando solo la logica e il Congresso non ha competenza tecnica per indicare come gestire questi casi. In altre parole, se l’intelligence individua un terrorista, è logico catturarlo e interrogarlo secondo i metodi più proficui. Una volta raccolte le informazioni, nel rispetto della Convenzione di Ginevra, è altrettanto logico farlo processare da giudici che sanno cosa fanno, evitando così anche l’accusa di doppi standard davanti alla legge. Un metodo di praticità che l’amministrazione cerca di applicare in tutti i campi della lotta al terrorismo, incluso l’Iraq. Laggiù la violenza sta riprendendo, e se i militari giungono alla conclusione che lasciare una presenza americana può servire ad evitare il caos, il presidente li ascolta.
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