Il Riformista, il terrorismo e Bertinotti

La faina e il cannocchiale
Trecentomila terroristi in una scatola di biscotti
articoli di Miguel Martinez 
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Il Riformista è un simbolo perfetto dei tre livelli della politica italiana. Il primo è quello che possiamo chiamare il livello romano. Amo Roma come nessun'altra città al mondo, però è difficile negare che più o meno dai tempi delle guerre puniche, si tratta di una città in cui esiste una fitta rete di servitori di ogni specie che sperano di cambiare vita, di svortà, per usare un'espressione caratteristica. Ne nasce un mondo straordinario e pittoresco, dove cardinali e peccatori tramano contro altri cardinali e altri peccatori in un opaco ambiente in cui nessuno sa da dove partirà il prossimo colpo. Nelle tenebre romane, può succedere di tutto - Silverio Corvisieri (Il re, Togliatti e il Gobbo: 1944, la prima trama eversiva) racconta di come durante l'occupazione tedesca, i capi della polizia fascista collaborassero con equanimità con i tedeschi, con gli alleati, con il Vaticano e con i partigiani.

In questo contesto di perenne finzione, il virtuale diventa essenziale. Ruffiani di ogni sorta distribuiscono immaginari titoli cavallereschi, vengono pubblicati costosi volumi omaggio che nessuno legge, si raccolgono soldi per film sui servizi segreti che poi svaniscono nel nulla, nascono misteriosi circoli culturali dalla saracinesca perennemente abbassata, e fioriscono quotidiani immaginari come Il Riformista. Strano a dirsi, è stato un olandese a descrivere meglio di tutti questo mondo - Anton Haakman nel suo splendido Mondo sotterraneo di Athanasius Kircher.

Questo mondo non è cambiato nemmeno con il passaggio di poteri da Augusto a Tiberio; e non è stato certo scalfito dal passaggio dalla prima alla seconda repubblica. Di questo mondo fanno parte integralmente sia la destra che la sinistra, come ci mostra magistralmente il film di Virzì, Caterina va in città.

Fausto Bertinotti sa muoversi perfettamente in questo ambiente, pur essendo un sindacalista torinese. E questo è già un ottimo motivo per meritarsi il cannocchiale.

Poetesse e guitti
La corte perenne degli svortatori e dei peccatori è dipesa per mezzo secolo dalla politica, nella peculiare accezione romana dell'assessore socialdemocratico che organizza concorsi di poesia per commercialisti e professoresse delle medie in pensione, o della cooperativa comunista che vivacchia con la quota di appalti riservata al partito dopo aver pagato la tangente all'ex-fascista diventato esattore di Giulio Andreotti.

Al posto dei sempre più inutili mediatori politici, sono subentrati oggi in larga misura altri personaggi, più adatti ai nostri tempi. Certo, alle feste che contano ci sono sempre i politici, qualche cardinale e qualche nobildonna; ma hanno guadagnato uno spazio senza precedenti i sottoprodotti umani dell'industria culturale.

Infatti, i personaggi dei media non sono più gli austeri portavoce di politici arroganti. Sono ormai arroganti in proprio. Non esiste un confine netto tra il serio e il faceto, tra la biografia e la fiction, tra Bruno Vespa e Platinette. O se preferite, è difficile distinguere tra Adriano Sofri tuttologo e moralista con diritto illimitato di predica, suo figlio Luca Sofri giornalista e “blog star”, la nuora Daria Bignardi che è stata la presentatrice del Grande Fratello e della Fattoria, e il testimone di nozze di Luca e Daria, Giuliano Ferrara. Dimenticavo, Luca Sofri lavora per Il Riformista e/o per Il Foglio, ed è amico di un altro giovane giornalista, Mattia Feltri, figlio di Vittorio Feltri di Libero.
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All'epidemia di liberalismo corrisonde anche un'esplosione di americanismo.
“Dopo gli attentati mi sono detto: ci bombardano. Perché New York, l'America, sono casa nostra”.

D'Alema, che infatti è nato a Roma, ha interiorizzato perfettamente lo spirito del custode del palazzo cardinalizio: la casa del mio padrone è davvero casa mia.

Anche su questo piano, Fausto Bertinotti si merita pienamente il cannocchiale. Più dello stesso D'Alema, perché Bertinotti deve lavorare con un'umanità ostica, che ha innumerevoli difetti, ma ha sempre avuto un rigetto profondo per il capitalismo e per l'imperialismo. In Rifondazione comunista militano le persone che non si lasciarono abbindolare a suo tempo da Occhetto o D'Alema. Per neutralizzarle, occorre aggirarle, e lo si fa con la doppia tecnica dell'antiberlusconismo e della non violenza.
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In termini pratici, la “non violenza” significa: quando c'è un'aggressione militare e quelli sparano, noi non alziamo un dito a favore di chi resiste. La prova decisiva l'abbiamo avuta con la resistenza irachena, nei cui confronti Fausto Bertinotti ha dimostrato tutta la sua fainesca astuzia.

La non violenza viene teorizzata come ripudio della “spirale guerra-terrorismo” - loro ti bombardano e ti massacrano la famiglia, tu ammazzi uno dei tuoi aguzzini, e Fausto Bertinotti al tavolo imbandito del Riformista dice che siete cattivi tutti e due.
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[...] esiste un termine tuttofare e tuttospiegare: “terrorismo”.

Pierferdinando Casini, in visita a Birkenau, ci annuncia che:
“Oggi un nuovo nazismo e stalinismo si affacciano sotto la forma del terrorismo. Il nazismo come lo stalinismo e il nuovo terrorismo di oggi sono due facce della stessa medaglia”.
Non ho presente le statistiche, ma se ci fossero dieci serial killer in Italia, avremmo già un problema molto serio.

Ora, su La Stampa del 15 settembre 2004, Giuseppe Zaccaria a Baghdad intervista il maggiore Adnan Nassar al-Amri, caposezione al Ministero degli Interni del governo di Allawi.
Il caposezione gli fa sapere che
“Il nostro Presidente ha appena ripetuto che le elezioni previste a gennaio si faranno e poco male se due o trecentomila terroristi non vi parteciperanno.”

Due o trecentomila “terroristi”? Facendo le proporzioni con la popolazione, è più o meno come dire che la situazione è sotto controllo, perché in Italia ci sono appena settecentomila serial killer in quotidiana attività.
Il termine terrorista viene quindi usato per descrivere non il carattere di singole azioni, ma per descrivere un’intera causa per la quale solo in Iraq, ci sono – secondo i loro stessi nemici – non meno di due o trecentomila persone pronte a dare la vita.
Ora, o gli arabi sono molto strani, oppure Casini e Bertinotti, che adoperano il termine “terrorismo”, sono in evidente malafede. Ma cosa stanno cercando di coprire?

Essenzialmente due cose.

Aggressione e resistenza
Prima di tutto, non hanno l’onestà di Oriana Fallaci o di Umberto Bossi, i quali attribuiscono comunque una causa al nemico: ci dicono che “ci attaccano” perché vogliono “islamizzare il mondo”. Poi ci dicono che lo fanno attraverso il terrorismo: da qui l'idea del “terrorismo islamico”. È falso, ma almeno è un po’ più sensato che dire che ci attaccano solo perché godono a far paura alla gente.

Bertinotti non può attaccare “l'islam” perché non sta bene a sinistra demonizzare blocchi interi di umanità, Casini non lo fa, invece, perché quando hai dei soldati che occupano un paese islamico, è sempre meglio dividere i propri nemici che insultare tutti i musulmani in blocco.
La seconda cosa che Casini e Bertinotti cercano di mistificare è se guerra e terrorismo sono solo metodi per condurre una lotta, la lotta tra chi è?. È tra aggressione e resistenza. È questo il vero nodo del conflitto in corso nel mondo.

Su chi compie l’aggressione, ci sono pochi dubbi. Da quando i turchi si ritirarono davanti alle porte di Vienna nel 1683, tutte le aggressioni sono sempre state condotte dai paesi industriali. Non perché i suoi abitanti fossero più cattivi, ma perché avevano mezzi tali da assicurare loro la vittoria sempre.
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Quindi l’aggressione, da diversi secoli a questa parte, si muove solo dal mondo industrializzato – quello che le persone come Casini chiama “la Civiltà” – verso il resto del mondo.
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Ora, l’aggressione genera resistenza. La resistenza può prendere diverse forme. L’esercito dei dervisci nel Sudan cercò di fare quella che Bertinotti chiama “guerra”, sfidando gli inglesi in campo aperto a Omdurman. Cannoniere, fucili a ripetizione, proiettili dum-dum sterminarono l’esercito mahdista in poco tempo. Un orgoglioso Winston Churchill scrisse:
“Così si concluse la battaglia di Omdurman, il più eclatante trionfo mai ottenuto dalle armi della scienza sui barbari. Nell’arco di cinque ore, il più forte e meglio armato esercito di selvaggi mai messo insieme contro una moderna potenza europea era stato distrutto e disperso, quasi senza nessuna difficoltà, con un rischio comparativamente limitato e con perdite insignificanti nelle file dei vincitori” (citato in Sven Lindqvist, Sterminate quelle bestie, Milano, TEA, 2003, p. 85).
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Ecco come un creativo artista inglese reinventò e romanticizzò la carneficina di Omdurman:
“Meglio morire che vivere come morti”
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Il regista israeliano, Giuliano Mer – intervistato alla trasmissione televisiva Report del 10 settembre 2004 - descrive così i ragazzi del campo profughi di Jenin che si facevano esplodere (invano) contro gli immensi caterpillar che abbattevano le case, con i loro abitanti ancora dentro:
"Il campo profughi è molto piccolo, controllato dal più potente esercito del mondo con le apparecchiature più sofisticate del mondo. Circondati da elicotteri apache e carri armati, l’unica cosa che possono fare contro a questa enorme macchina è farsi saltare in aria. Dei 23 kamikaze che si sono fatti esplodere a Jenin io ne conoscevo 6: nessuno era religioso, nessuno cercava vergini nel cielo, ciò che li spinge è che preferiscono morire piuttosto che vivere come morti. Io credo che se i palestinesi avessero il Vietnam dietro di loro si comporterebbero come i Vietcong ma invece hanno intorno solo cemento, cemento muri muri, muri, muri, muri e muri una piccola quantità di esplosivo, chiodi, e si fanno saltare in aria, questo è quello che gli è rimasto."

Ora, il conflitto tra aggressione e resistenza può assumere forme molto varie. Non può assumere la forma di “guerra” nel senso di gente in divisa che si spara dalle trincee, perché le trincee verrebbero spazzate via in pochi minuti. Come avvenne alla fine della prima guerra del Golfo, quando Saddam Hussein aveva già annunciato il ritiro dal Kuwait e i carri Abrams americani seppellirono vive diverse migliaia di soldati iracheni nelle loro postazioni, passandoci semplicemente sopra con gigantesche lame da escavazione.
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Come abbiamo visto, “terrorismo” si riferisce non a qualche causa, ma allo stile di certe azioni commesse in nome di qualunque causa.

Fu terrorismo in un senso preciso l’attentato alla metropolitana di Madrid, che aveva come scopo - a quanto pare - quello di incutere un grande spavento nella popolazione civile, affinché premesse per uscire da una guerra che non la riguardava.
Troviamo esattamente la stessa strategia dietro le stragi commesse dagli angloamericani durante la seconda guerra mondiale, quando in una notte furono bruciati vivi quarantaduemila abitanti di Amburgo, per non parlare di Dresda o di Nagasaki. Persino Isernia, paese privo di installazioni militari, fu rasa al suolo dai bombardieri, che provocarono quattromila morti, più di quelli delle Torri Gemelle.

Bombardamento di Amburgo: tra le vittime, 13.000 uomini, 21.000 donne e 8.000 bambini


In entrambi i casi, possiamo dare un giudizio morale, ma possiamo anche dare un giudizio politico: gli attentatori di Madrid e i bombardatori di Isernia hanno entrambi ottenuto lo stesso effetto. Quello di suscitare nella popolazione un grande moto di rabbia, non contro chi li aveva colpiti, ma contro chi li aveva trascinati in quella guerra.
Ora, sappiamo benissimo perché non si può usare il termine resistenza per definire una resistenza: perché esiste in Italia “la Resistenza”, che oltre a essere un nobile fatto di sessant'anni fa, è anche una sorta di comoda giustificazione del posto di lavoro di Carlo Azeglio Ciampi e di altri retori di professione.

Da qui, la domanda ricorrente, “la resistenza irachena somiglia a quella italiana?” Si tratta di una domanda teologica: tutta la teologia si basa sull'analogia.

[...] si tratta di un problema appunto teologico. La resistenza irachena, come quella palestinese, è una resistenza, perché ce lo dice il vocabolario. Fatti di Gaza o Ramadi nel 2004 somigliano a fatti di Voghera nel 1943? Per certi versi sì. Per certi versi no. E allora?
Va da sé che lo stesso ragionamento vale per l'improbabile (e involontaria) coalizione tra neoconservatori, Paolo Mieli e alcune aree neofasciste che sostengono che la resistenza irachena somiglia invece alla Repubblica Sociale di Mussolini.

Italiani brava gente
Sempre su La Stampa del 15 settembre, Giovanni De Luna descrive alcune immagini che si trovano nell’archivio fotografico della Croce Rossa a Ginevra:
“Mi riferisco in particolare alle foto di Angelo Dolfo che ritraggono la testa del deggiac Hailù Chebbedè – che guidava la ribellione contro l’occupazione italiana nei territori del Goggiam – esposta alla folla sulla piazza del mercato di Quorum. Il deggiac fu ucciso in uno scontro il 24 settembre 1937; la sua testa fu infilata in una scatola di latta per biscotti Lazzaroni e portata in giro per volontà del viceré d’Etiopia, Rodolfo Graziani: la sequenza fotografica mostra l’apertura della scatola, poi la testa esibita tra i sorrisi dei soldati italiani, per essere alla fine ingabbiata nel filo di ferro e sospesa a una tavola inchiodata a un palo”.
Come le decapitazioni filmate in Iraq, come le torture di Abu Ghraib, anche questo è terrorismo nel senso che il suo scopo è quello di incutere il panico nel nemico. Ma sarebbe ingiusto dire che gli italiani siano andati in Etiopia solo per il gusto di tagliare teste, che gli americani abbiano sodomizzato i detenuti di Abu Ghraib per puro gusto erotico, o che si uccidano i collaborazionisti, o presunti tali, per mero divertimento.

Il vero delitto è l’aggressione
La conclusione non è difficile.
Tacciamo sul penoso dualismo “civiltà-terrorismo” dei Casini e dei Pera, che rientra nel puro Iperbolico.
Ma anche il dualismo “guerra-terrorismo” non è meno assurdo. Prima di tutto perché comunque definisce i buoni e i cattivi: il termine “guerra” ha una tragica dignità che manca alla pura negatività del termine “terrorismo”. In amore e guerra, tutto è lecito, ci insegna il luogo comune. Difficilmente sentirete dire, “in amore e terrorismo…” E siccome “guerra” è un eufemismo per non dire USA, e “terrorismo” un eufemismo per non citare le vittime degli USA, Bertinotti sta dando dei guerrieri ai primi e dei terroristi ai secondi.
Esiste l’aggressione. Che – è vero – genera una “spirale”, nel senso che a volte c’è chi si oppone all’aggressione. E nasce così la resistenza.
Per definire gli aggressori e gli aggrediti, non servono complessi sofismi: basta aprire una mappa e vedere chi occupa le terre di chi.
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Da una parte, c’è chi aggredisce. E proprio perché aggredisce, avrebbe potuto anche scegliere di starsene a casa sua, e di evitare quindi di commettere gli orrori che sta commettendo. Ogni azione dell’aggressore è un delitto. Dall’altra parte, c’è chi resiste. E per lui la scelta è molto più complessa. Perché se non accetta di subire passivamente lo stupro, deve agire. E ogni azione che compie è carica di ambiguità:
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Però è chiaro che, per quanto esecrabili i delitti-effetto, esiste un delitto-causa. Che non si chiama vagamente “guerra”, ma aggressione. Ed esiste un diritto iniziale. Che si chiama resistenza.

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